LA STORIA SEGRETA DELL’ECUADOR
Scritto da Andrea Pezzè
Il numero 27 della collana Gli Eccentrici di Arcoiris è un’opera decisamente diversa da quelle precedenti. Nonostante non si tratti dell’opera più datata della collana, possiamo considerare il romanzo di Valdano un esempio classico del romanzo moderno. In attesa del giorno ripercorre per genere e contenuti un momento fiorente, ma in apparenza esaurito, della letteratura ispanoamericana e finanche peninsulare. In attesa del giorno è, infatti, un voluminoso romanzo storico.
Supera di poco le trecentocinquanta pagine e racconta una serie di vicende notturne intorno all’organizzazione dell’insurrezione indipendentista in Ecuador. La prima edizione dell’opera è del 1990 (anno in cui ha vinto il Premio Nacional de Literatura) e solo grazie all’importante lavoro di ricerca di Maria Rossi nel Paese andino è arrivato in Italia. Siamo quindi all’inizio del XIX secolo e i personaggi storici che vi si affacciano, guidati dalla memoria del grande mentore dell’indipendenza ecuatoriana Eugenio Espejo, discutono di filosofia, libertà e insurrezione. Inutile dire che vengono vessati dai realisti e dai loro lacchè.
Si tratta di un romanzo storico tout-court in cui è pressoché assente la riflessione metaletteraria del post-. In America Latina, infatti, questo genere ha visto un cambiamento radicale almeno dagli anni ’70 in poi. Sul tema c’è già una monografia di riferimento, quella di Seymour Menton, La Nueva Novela Histórica de América Latina(1993) e anche una italiana, della salernitana Rosa Maria Grillo (Escribir la historia, 2010). La differenza sostanziale tra i due modelli starebbe nel cambiamento radicale dell’ermeneutica della storia. Come in quella famosa frase di Cervantes/Pierre Menard/Borges per cui la storia è madre della verità, l’arcano è di prospettiva: la storia è la depositaria della verità o semplicemente la sua elaborazione? E quindi, nel nuovo romanzo storico, scrivere la storia diventa una riflessione sulle modalità della memoria, della ricerca e della narrazione dei fatti: un conquistador spagnolo elabora il senso delle sue imprese; un dittatore cerca di dettare le sue memorie, e un ricercatore, nel futuro, le ricostruisce.
Il romanzo di Valdano non ha tale urgenza. Si propone di offrire una versione narrativa dei moti indipendentisti senza che i fatti vengano sottoposti a giudizio. E forse non potrebbe essere diverso. La componente ecuadoriana dei padri della patria latinoamericani è pressoché ignorata. Se il poema Neoclassico delle gesta di Simón Bolívar è dell’ecuadoriano José Joaquín de Olmedo (mi riferisco a La victoria de Junín, 1825), il resto dei moti indipendentisti dell’Ecuador è avvolto ancora da una relativa indifferenza. Potrà sembrare tardivo il tutto: la tipologia della scrittura, la tematica, anche il personaggio maggiormente narrativo dell’opera, Candelaria, una vecchia e intrigante alcahueta (una ruffiana, una celestina, appunto, un tema fortemente ispanico).
Però, chi può dire di conoscere una cultura ecuadoriana? Qualcuno si chiederebbe, addirittura, se esiste una cultura ecuadoriana? Sì, esiste una cultura ecuadoriana ed è anche di ottima qualità (giovani cyberinformati, cercate i film di Sebastián Cordero). Juan Valdano è un momento necessario nel dibattito sull’identità di un Paese, non solo in merito a ciò che è successo, ma anche per quello che si propone di essere. Quando, a pagina 191, leggiamo la frase “voglio essere orfano di tutte le carni”, riscontriamo un chiaro riferimento al meticciato del protagonista e di tutto l’Ecuador. Una politica inclusiva che, in forma utopica, molti padri della patria avevano e che è stata poi deliberatamente accantonata dalle élite decimononiche.
Un giorno Valdano sarà superato e tardivo, e meno male, visto che qualcuno si sarà preoccupato di renderlo obsoleto. Per il momento ci troviamo di fronte a un tassello necessario della letteratura nazionale che dovremmo essere contenti di esplorare.
Juan Valdano
In attesa del giorno (Mientras llega el día)traduzione e cura di Maria Rossi
Si tratta di un romanzo storico tout-court in cui è pressoché assente la riflessione metaletteraria del post-. In America Latina, infatti, questo genere ha visto un cambiamento radicale almeno dagli anni ’70 in poi. Sul tema c’è già una monografia di riferimento, quella di Seymour Menton, La Nueva Novela Histórica de América Latina(1993) e anche una italiana, della salernitana Rosa Maria Grillo (Escribir la historia, 2010). La differenza sostanziale tra i due modelli starebbe nel cambiamento radicale dell’ermeneutica della storia. Come in quella famosa frase di Cervantes/Pierre Menard/Borges per cui la storia è madre della verità, l’arcano è di prospettiva: la storia è la depositaria della verità o semplicemente la sua elaborazione? E quindi, nel nuovo romanzo storico, scrivere la storia diventa una riflessione sulle modalità della memoria, della ricerca e della narrazione dei fatti: un conquistador spagnolo elabora il senso delle sue imprese; un dittatore cerca di dettare le sue memorie, e un ricercatore, nel futuro, le ricostruisce.
Il romanzo di Valdano non ha tale urgenza. Si propone di offrire una versione narrativa dei moti indipendentisti senza che i fatti vengano sottoposti a giudizio. E forse non potrebbe essere diverso. La componente ecuadoriana dei padri della patria latinoamericani è pressoché ignorata. Se il poema Neoclassico delle gesta di Simón Bolívar è dell’ecuadoriano José Joaquín de Olmedo (mi riferisco a La victoria de Junín, 1825), il resto dei moti indipendentisti dell’Ecuador è avvolto ancora da una relativa indifferenza. Potrà sembrare tardivo il tutto: la tipologia della scrittura, la tematica, anche il personaggio maggiormente narrativo dell’opera, Candelaria, una vecchia e intrigante alcahueta (una ruffiana, una celestina, appunto, un tema fortemente ispanico).
Però, chi può dire di conoscere una cultura ecuadoriana? Qualcuno si chiederebbe, addirittura, se esiste una cultura ecuadoriana? Sì, esiste una cultura ecuadoriana ed è anche di ottima qualità (giovani cyberinformati, cercate i film di Sebastián Cordero). Juan Valdano è un momento necessario nel dibattito sull’identità di un Paese, non solo in merito a ciò che è successo, ma anche per quello che si propone di essere. Quando, a pagina 191, leggiamo la frase “voglio essere orfano di tutte le carni”, riscontriamo un chiaro riferimento al meticciato del protagonista e di tutto l’Ecuador. Una politica inclusiva che, in forma utopica, molti padri della patria avevano e che è stata poi deliberatamente accantonata dalle élite decimononiche.
Un giorno Valdano sarà superato e tardivo, e meno male, visto che qualcuno si sarà preoccupato di renderlo obsoleto. Per il momento ci troviamo di fronte a un tassello necessario della letteratura nazionale che dovremmo essere contenti di esplorare.
Juan Valdano
In attesa del giorno (Mientras llega el día)traduzione e cura di Maria Rossi
Arcoiris, Salerno, 2017
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